Tutto ciò che vuoi è dall’altra parte della paura.
Suona più o meno così una frase fatta, di un tal Jack Canfield, che sono pure dovuta andarmi a cercare, per scoprire poi che si tratta di un oratore motivazionale americano.
Alché ho capito perché mi suonava come una belinata mastodontica fin dalla prima volta che l’ho letta su qualche bacheca facebook.
Perché credo che tutto ciò che vuoi in realtà sia semplicemente lì, a portata di mano, e quello che ci blocca non è la paura.
Semmai la pigrizia, magari di farsi un gran mazzo per ottenerla quella cosa; oppure la difficoltà di ammettere che ciò che si vuole è un semplice capriccio dell’anima, e la consapevolezza che una volta raggiunto l’obiettivo, ci annoi, come un giocattolo vecchio per un bambino.
Se poi vuoi per forza applicare questa minchiata galattica della paura alle relazioni, amorose soprattutto (quante palle mi sono raccontata, io a me stessa, per giustificare il disinteresse di un uomo, oppure il mio verso il malcapitato di turno), beh, spiace verificare ancora una volta quanto sia comodo appigliarsi a frasi fatte e luoghi comuni, pur di non ammettere i propri limiti e le proprie debolezze, mascherandoli con alibi che sfiorano il ridicolo: non hai poco coraggio, semplicemente la cosa non ti interessa abbastanza.
Perché quando vuoi ottenere qualcosa, o ami una persona beh, il coraggio lo trovi tutto insieme, senza scuse.
Le mie paure stanno invece da questa parte, proprio vicino a me, e provo a prendere distanza – un metro, come usa adesso, talvolta non basta – per guardarle da un’angolazione diversa.
Oppure le vesto a festa: un mostro con artigli affilati fa più che altro ridere, se lo agghindi come Sbirulino.
Ho paura per me, spesso. Di non dare o fare abbastanza.
Di non essere abbastanza.
Altresì ho paura talvolta di averne abbastanza, che quando mi salta il tappo non ce n’è più per nessuno, “chi mi conosce lo sa” di albertotombiana memoria.
In questi mesi la paura l’abbiamo conosciuta tutti: paura di non tornare alla normalità, paura della morte, paura di perdere le persone care. Che se pure sono pensieri che ci accompagnano nel quotidiano, come un mormorio sommesso di sottofondo, questa emergenza ha reso plastico il fatto che sì, si vive e si muore, e tutto quello che c’è in mezzo sarebbe molto meglio non farselo mangiare dalla paura.